Professor Bisciotti, quali sono le discipline sportive nelle quali si riscontra più frequentemente la sindrome pubalgica?
Le attività sportive che si associano a un maggior rischio di insorgenza di pubalgia sono rappresentate in Europa principalmente dal calcio, seguito a distanza da hockey, rugby e, nell’ambito dell’atletica leggera, dalle specialità di fondo e mezzofondo.
Esistono discipline che si possono considerare intrinsecamente, e cioè per le specifiche caratteristiche tecniche,“ a rischio”?
Senza dubbio il calcio presenta i maggiori fattori di rischio. Sono in effetti molti i gesti tecnici tipici di questo sport che possono favorire l’insorgenza di pubalgia: i balzi, il dribbling, tutti i movimenti di rapido cambiamento di senso e direzione, i tackles effettuati in scivolata con arti inferiori abdotti e muscolatura adduttoria contratta. Tutte queste situazioni sono possibili cause di intenso carico a livello della sinfisi pubica, in grado di innescare un meccanismo di stress sinergico tra la muscolatura adduttoria e quella addominale. Inoltre, il calciare e il correre su superfici irregolari, come molto spesso avviene nei campi da calcio utilizzati dalle categorie dilettantistiche, rappresenta un ulteriore fattore di stress funzionale che è importante non sottovalutare. Sempre a proposito di fattori di rischio legati alle caratteristiche tecniche dello sport è opportuno ricordare anche la teoria formulata dal francese Robert Maigne nel 1981, basata sullo squilibrio funzionale spesso osservabile a livello della biomeccanica della colonna vertebrale dei giocatori di calcio. Secondo questa teoria il calciatore si troverebbe a espletare la sua attività mantenendo una postura iperlordotica, necessaria all’ottimizzazione della visione di gioco, che si accentuerebbe ancor di più nell’atto del calciare. Tale alterazione della biomeccanica della colonna creerebbe una situazione di conflitto meccanico a livello del passaggio dorsolombare, nonché un possibile conflitto tra le articolazioni vertebrali e i nervi genitoaddominali responsabili dell’innervazione sensitiva della zona pubica. In quest’ottica si spiegherebbe l’alta incidenza di pubalgia nei calciatori riportata da molti autori.
Quali sono i fattori predisponenti all’insorgenza di una sintomatologia pubalgica legati più in generale allo svolgimento dell’attività sportiva?
Alcuni autori propongono – a mio parere avvedutamente – tra i fattori di rischio intrinseci connessi all’attività fisica un deficit della muscolatura del Core e/o un alterato pattern di reclutamento del muscolo trasverso dell’addome. Occorre poi ricordare che attualmente si sta svolgendo un acceso dibattito sul ruolo dell’età e del livello di esperienza sportiva individuale quali possibili fattori di rischio per l’insorgenza di pubalgia. Tale relazione sarebbe giustificata dal fatto che, essendo la pubalgia sottesa prevalentemente da patologie da overuse, il rischio di insorgenza potrebbe effettivamente aumentare con l’età, anche dispetto dell’aumento contestuale dell’esperienza atletica che, in teoria, dovrebbe invece rappresentare un fattore protettivo. In realtà non tutti gli autori concordano con questa interpretazione, e d’altra parte – come è facilmente intuibile per una condizione così tipicamente multifattoriale – non vi è neppure consenso su quale sia la fascia di età di massima insorgenza della sindrome pubalgica.
Ai fini sia della diagnosi precoce delle condizioni predisponenti sia della prevenzione della pubalgia, qual è, in base alla sua esperienza, l’approccio raccomandabile nella preparazione atletica degli sportivi?
Tenendo conto del fatto che una delle maggiori cause di pubalgia negli sportivi è rappresentata dalla tendinopatia degli adduttori (in particolar modo dell’adduttore lungo) e dalla tendinopatia rettoadduttoria (ossia dalla tendinopatia inserzionale dell’adduttore lungo e del muscolo retto dell’addome a livello della loro aponeurosi comune sulla branca pubica), vorrei sottolineare come esistano programmi estremamente validi da un punto di vista preventivo, che vale senza dubbio la pena di inserire nella normale routine di allenamento, in quanto a fronte di un impiego di tempo molto limitato consentono di evitare lunghe e forzate sospensioni dell’attività.
Tali programmi mirano sostanzialmente a riequilibrare eventuali squilibri muscolari che possano di per sé rappresentare un fattore di rischio. A tale proposito, ricorderei
che ai fini della diagnosi precoce di una condizione di rischio di questo tipo può rivestire un certo interesse, tra i test biomeccanici, la dinamometria muscolare, attraverso la quale si possono evidenziare eventuali squilibri funzionali.
Quali consigli specifici darebbe a chi invece intraprende un’attività sportiva “a rischio” a livello amatoriale?
Fornire indicazioni di ordine pratico non è facile vista l’eziologia multifattoriale che può sottendere una pubalgia. In ogni caso consiglierei di: mantenere un giusto rapporto funzionale tra la muscolatura adduttoria, che in genere è tonica, rigida e poco elongabile, e la muscolatura addominale, che al contrario spesso presenta un tono inadeguato; evitare per quanto possibile di praticare l’attività su terreni inadatti; evitare il frequente passaggio tra superfici sintetiche e superfici naturali; effettuare sempre un consono riscaldamento. E naturalmente raccomanderei di non sottovalutare le prime avvisaglie sintomatiche dell’insorgenza di una pubalgia.