La gonartrosi dello sportivo
Nuove strategie terapeutiche nella gonartrosi secondaria dello sportivo
La gonartrosi sta assumendo le connotazioni di una vera e propria malattia sociale, comportando pertanto, sia degli elevati costi sanitari, che una drastica diminuzione della qualità della vita del paziente. Di particolare interesse in ambito sportivo è la gonartrosi secondaria dello sportivo ultraquarentenne, che merita, sia per la sua eziologia, che per le particolari esigenze funzionali di questa categoria di pazienti, un’attenzione e, conseguentemente, un trattamento specifici. In questo lavoro vengono esposti i principi ed i vantaggi della terapia viscosupplementativa in rapporto ad altri tipi di approccio conservativo.
L’artrosi, od osteoartrosi (OS), è una malattia cronica degenerativa che si manifesta a livello articolare con interessamento specifico della cartilagine articolare in associazione a fenomeni di degenerazione dell’osso sottostante. Nel quadro osteoartrosico risultano però assenti i fenomeni infiammatori al contrario tipici delle artriti. La sua insorgenza di norma si registra al di là dei 50 anni d’età ma è possibile osservare dei quadri francamente artrosici anche in individui giovani, persino al di sotto dei 30 anni (Farag e coll, 2005) L’OS si manifesta con maggior frequenza nel sesso femminile ed in individui con tendenza all’obesità (vedi il riquadro specifico) al diabete, alle varici, all’iperlipidemia ed all’iperuricemia (Steadman e coll., 2007). E’ possibile classificare le osteoartrosi in due categorie, di cui la prima è costituita dalle osteoartrosi primitive e la seconda dalle osteoartrosi secondarie. Le forme primitive sono riconducibili a fenomeni generali di usura meccanica a carico della cartilagine articolare (Rudolph e coll., 2007). Tra le cause responsabili dell’insorgenza di un OS primaria vanno annoverati diversi fattori come l’aumento ponderale, gli squilibri metabolici, le turbe endocrine, le malattie epatiche o renali, l’insufficienza venosa periferica, oltre che una predisposizione di tipo ereditario. Le OS cosiddette secondarie, sono invece collegate ad alterate condizioni biomeccaniche che sottopongono la superficie articolare, od una parte di essa, ad un carico alterato, compromettendo, in tal modo, il corretto funzionamento dell’articolazione stessa (Rudolph e coll., 2007). Le OS secondarie sono di norma monoarticolari e non mostrano tendenza alla diffusione. Soprattutto negli ex-sportivi sono ampiamente diffuse le OS secondarie di tipo post-traumatico e da alterazione della statica. Le OS post-traumatiche sono il risultato di eventi traumatici che hanno agito unicamente o reiteratamente a livello articolare. Nel caso di unicità del trauma si vengono a determinare gravi danni a livello della cartilagine articolare e della capsula, nel caso invece di microtraumatismi ripetuti si verifica, al contrario, una precoce usura della cartilagine articolare (Lohmander e coll., 2007; Wu e coll., 2007). Le OS da squilibrio della statica, vedono invece la loro insorgenza legata ad un’alterata e non corretta distribuzione del carico sulla superficie articolare. Degli esempi tipici in quest’ambito sono costituiti dalle OS dell’anca che si manifestano in esiti di lussazione d’anca congenita, oppure le OS conseguenti ad esiti di fratture non correttamente ridotte, a ginocchia vare o valghe, a cifosi o scoliosi della colonna vertebrale (Mullaji e coll., 2007). Non è un caso quindi che molti ex sportivi, oppure sportivi ultraquarantenni ancora in attività, debbano far fronte ad un processo di tipo osteoartrosico soprattutto a livello dell’articolazione del ginocchio, che risulta statisticamente l’articolazione maggiormente interessata a questo tipo di problema (Foley e coll., 2007). Le cause più diffuse di gonartrosi secondaria sono infatti costituite da malallineamenti articolari come valgismo o varismo, (Foley e coll., 2007; Mullaji e coll., 2007), da instabilità dovuta a rottura inveterata del legamento crociato anteriore o posteriore ( Wu e coll, 2007; Swirtun e coll., 2006; Aït Si Selmi e coll., 2006; Wang e coll., 2002; Gill e Joshi, 2001.) oppure da postumi di meniscectomia totale, una pratica chirurgica una volta molto diffusa ed oggi fortunatamente abbandonata e rimpiazzata da più opportuni interventi di meniscectomia selettiva (Zaffagnini e coll., 200) (vedi il riquadro di approfondimento specifico). La gonalgia si manifesta con scrosci articolari ed insorgenza di sintomatologia dolorosa, esacerbata dalla massima flessione dell’articolazione del ginocchio e, perlomeno inizialmente, dall’aumento del sovraccarico funzionale (Bennell e coll., 2007). Il dolore nelle prime fasi si risolve con il riposo, ma in seguito diviene molto spesso permanente, sino ad indurre una “claudicazione di fuga”, ossia una tendenza a minimizzare il carico sull’arto dolente. In questo caso infatti il soggetto si trova nella condizione di indugiare con il peso del corpo in carico sull’arto sano, cercando contestualmente di ridurre temporalmente al minimo la fase di appoggio sull’arto dolente (Baker e coll., 2007). Con il progredire del processo osteoartrosico questa zoppia viene esacerbata dalla perdita di estensione articolare che determina una progressiva flessione del ginocchio. Molto spesso a questo quadro si associa l’insorgenza di una cisti di Baker che si rende responsabile di una fastidiosa sensazione di tensione e gonfiore a livello del cavo polpliteo (Kärrholm e coll., 2007; Acebes e coll., 2006). In fase avanzata il processo osteoartrosico può frequentemente peggiorare un malallineamento in varo od in valgo già esistente, od addirittura determinarne l’insorgenza a causa dell’usura di tipo asimmetrico alla quale viene sottoposta la superficie articolare (Mullaji e coll., 2007). La diagnosi di gonartrosi è di tipo prettamente radiologico e viene formulata in base alla radiografia in carico del ginocchio effettuata nelle due posizioni standard, anteroposteriore e laterale. Talvolta viene richiesta una radiografia in carico con ginocchio flesso a 30° in modo tale da evidenziare un’eventuale riduzione della rima articolare. I segni radiologici suggestivi per la gonatrosi sono costituiti dalla riduzione della rima articolare, dall’addensamento dell’osso sub-condrale, dalla formazioni di geodi e di osteofiti . La terapia può essere di tipo preventivo, farmacologico o chirurgico (Raspopova e Udartsev, 2006). La terapia preventiva si basa sull’applicazione di tutte quelle norme di ordine generale atte a controllare i fisiologici processi di invecchiamento e gli inevitabili fenomeni degenerativi ad essi conseguenti. Possiamo annoverare in quest’ambito, soprattutto per quel che concerne l’osteoartrosi primaria, il controllo del peso corporeo, il mantenimento di una costante attività fisica, la cura, sin dai primi sintomi, delle affezioni di ordine generale che potrebbero condurre all’insorgenza del processo osteoartrosico. La terapia farmacologia classica praticata nel caso di gonartrosi era, sino a pochi anni fa, essenzialmente basata sulla somministrazione di farmaci antinfiammatori ed antidolorifici e costituiva, di fatto, una terapia di tipo palliativo, atta solamente ad alleviare i disturbi del paziente. Di corrente utilizzo era, e comunque resta tutt’oggi, l’infiltrazione di prodotti cortisonici effettuata allo scopo di risolvere in modo rapido un quadro infiammatorio locale. Tuttavia tale pratica trova un suo limite nel fatto che i farmaci cortisonici possono determinare un deterioramento delle strutture cartilaginee e meniscali (Banning, 2006). Le usuali terapie fisiche come laser, US, elettroforesi, trovano scarsa applicazione nell’ambito della gonatrosi, maggiori, ma comunque limitati, risultati si possono invece ottenere grazie alla radarterapia (Huang e coll, 200). Di una qualche utilità possono essere le vitamine del gruppo B (B1, B6 e B12) ed i cosiddetti farmaci condroprotettori come ad esempio la glucosoamina solfato, la glucosamina cloridrato ed il glicosaminoglicano polisolfato (Dudek e coll., 2007; Bruyere e Reginster, 2007). Queste molecole sarebbero in grado di stimolare la sintesi dei proteoglicani, conservare un’ottimale vitalità dei condrociti, inibire i processi di degradazione cartilaginea e mantenere inalterate le caratteristiche del liquido sinoviale. Tra le sostanze attualmente disponibili almeno due hanno già clinicamente dimostrato la loro attività condroprotettiva, la glucosamina ed il condroitinsolfato, tanto da potere essere classificate come sostanze DMOADS (Disease Modifying Osteo Arthritic Drugs) ossia prodotti in grado di modificare l’osteoartrosi per periodi clinicamente controllati in un follow-up compreso tra tra 12 e 36 mesi. Tuttavia, questi farmaci non hanno dimostrato nessuna validità nei quadri di OS avanzata ed il loro utilizzo rimane quindi confinato nelle forme di OS iniziali o medie (Bruyere e Reginster, 2007) . In ultimo buoni risultati sono stati registrati attraverso l’infiltrazione intra-articolare di acido ialuronico, di cui parleremo estesamente in seguito (Jamtvedt e coll., 2006; Brosseau e coll., 2007; Yurtkuran e coll., 2007). La terapia chirurgica si basa sostanzialmente su tre tipi di intervento: l’artrodesi, le tecniche di osteotomia correttiva e l’impianto di artroprotesi (Wiehe e coll., 2007). L’intervento di artrodesi, ossia la fusione chirurgica dei capi articolari del ginocchio, è ormai divenuto una tecnica inusuale, che trova ancora una sua indicazione di elezione fondamentalmente in tre quadri clinici selezionati. Il primo caso è costituito da un OS severa che mostri persistenza di infezione, tale da escludere a priori un possibile impianto protesico. Il secondo quadro che potrebbe giustificare un intervento di artrodesi è costituito da un anchilosi fibrosa di natura post-traumatica, la cui gravità escluda, come nel caso precedente, il possibile impianto di una protesi. Infine, un’ultima indicazione in tal senso riguarda i pazienti classificabili come poco collaborativi nei confronti dell’inevitabile programma riabilitativo susseguente all’impianto di artroprotesi. Le osteotomie correttive, atte alla correzione di un malallineamento in varo od in valgo del ginocchio, sono particolarmente indicate nei pazienti giovani e presentano l’innegabile vantaggio di preservare l’integrità articolare. Infine, la tecnica di artroprotesi prevede la sostituzione dell’articolazione con protesi meccaniche totali o monocompartimentali.
La terapia viscosupplementativa con acido ialuronico
L’acido ialuronico (HA) è il principale glicosaminoglicano della sostanza fondamentale del tessuto connettivo. Le molecole di acido ialuronico sono polimeri quasi lineari di peso molecolare molto elevato (105-106 dalton), la cui unità ripetitiva è costituita da un residuo di N-acetilglucosamina unito con legame b-1,4-glicosidico a uno di acido D-glucuronico. Quest’ultimo è unito con legame b-1,3-glicosidico alla successiva unità disaccaridica. L’HA è presente, associato a proteine, anche nel corpo vitreo dell’occhio, nella cute, nel liquido sinoviale, nella membrana sinoviale e nella cartilagine. A livello cartilagine l’HA, essendo una componente della matrice cartilaginea stessa, è in grado di svolgere un ruolo “aggregante” nei confronti dei proteoglicani, aumentando in tal modo il turgore e l‘elasticità cartilaginea. Infine, oltre a presentare un’attività di tipo antidegenerativo ed antiflogistico, si mostra in grado di svolgere una funzione di tipo ricostruttivo nei confronti della matrice cartilaginea. In caso di gonartrosi l’HA presente a livello articolare subisce una diminuzione, sia per ciò che riguarda il suo valore medio di peso molecolare, che per la sua concentrazione. Questi cambiamenti sono da imputarsi ad un fenomeno di diluizione dell’HA stesso secondario al versamento articolare, nonché ad una sua alterata sintesi ed ad un aumento del suo rateo di degradazione nel liquido sinoviale. Il concetto di viscosupplementazione, ossia l’utilizzo dell’HA mediante iniezione intrarticolare allo scopo di ottenere una reintegrazione delle caratteristiche visco-elastiche della cartilagine articolare, è stato introdotto per la prima volta da Balazs e Denlinger nel 1970 (Balazs e Denlinger, 1989; 1993). Gli effetti della viscosupplementazione sono sostanzialmente riconducibili ad un effetto meccanico, dovuto all’aumento del peso molecolare, unitamente ad una buona efficacia in termini antiflogistici ed analgesici (Onel e coll., 2007; Reichenbach e coll., 2007; Jüni e coll., 2007). Attualmente sono disponibili HA altamente purificati estratti da cellule batteriche che presentano un alto peso molecolare, compreso tra i 2.4 ed i 3.6 milioni di dalton. Tali prodotti favoriscono la lubrificazione articolare, permettendo una maggiore mobilità e flessibilità dell’articolazione trattata, riducendo contestualmente la sensazione algica del paziente. Le controindicazioni sono costituite da ipersensibilità nota nei confronti dell’HA, dalle infezioni articolari del ginocchio o della zona di iniezione, oltre che da disturbi cutanei. E’ importante ricordare che il processo infiammatorio tipico della gonartrosi, oltre che essere alla base del fenomeno essudativo, stimola la secrezione di HA. L’essudazione causa la dissoluzione del HA nel liquido sinoviale e nei tessuti adiacenti. L’alterazione della sintesi di HA, che si riscontra nella gonartrosi (alterazione è in effetti il termine più corretto da utilizzare in quanto la sintesi di HA può risultare sia accelerata, che ridotta, oppure semplicemente compromessa), può comportare la produzione di molecole di minor dimensione rispetto alla situazione di normalità fisiologica , inoltre, il processo infiammatorio può indurre la produzione di radicali liberi che sarebbero responsabili della degradazione e della frammentazione delle molecole di HA normali. In tali condizioni l’elastoviscosità dei fluidi contenenti HA e la viscosità della matrice cellulare intercellulare dei tessuti articolari, subirebbero una drastica diminuzione. Il liquido sinoviale si troverebbe nell’impossibilità di assolvere adeguatamente le sue funzioni fisiologiche e l’omeostasi articolare sarebbe gravemente compromessa. Il concetto di viscosupplementazione, pertanto, si basa sull’ipotesi che iniezioni intra-articolari di HA possano, non solamente ripristinare la viscoelasticità del liquido sinoviale articolare ma che possano anche promuovere la sintesi endogena di un ialuronato a più elevato peso molecolare. Per questo motivo si può parlare di un fenomeno di “viscoinduzione”, che appunto trova una sua giustificazione nella possibile stimolazione della produzione endogena di HA da parte dei condrociti e dei sinoviociti intra-articolari. Gli effetti biologici della viscoinduzione possono essere riassunti in tre azioni biochimiche fondamentali:
- L’effetto sull’infiammazione articolare attraverso la riduzione del livello di PGE2 prostaglandine E2) nel liquido sinoviale, la prevenzione del danno ossidativo prodotto dai RDL, la modulazione, intesa in senso inibitorio, dell’attivazione WBC (White Blood Cells), oltre alla modulazione degli stadi iniziali della risposta immunitaria locale.
- Un effetto anti-catabolico locale ed una riduzione dei markers della degradazione cartilaginea.
- Un effetto pro-anabolico che viene sostanzialmente espletato dalla neosintesi di HA da parte dei sinoviociti e dei condrociti.
Tutto questo ha reso la viscosupplementazione, una tecnica sempre più utilizzata come trattamento sintomatico dell’OS del ginocchio. Tuttavia, un problema ricorrente è costituito dalla scelta di un prodotto idoneo. Infatti sono oggi disponibili un gran numero di preparati a base di ialuronato di sodio (NaHa) ed orientarsi in questo senso non è sempre facile. I vari prodotti oggi disponibili si differenziano tra loro in base alla massa molecolare, alla concentrazione in ialuronato di sodio ed alla posologia raccomandata, intesa come numero di infiltrazioni consigliate. Anche se alcuni Autori (Adams e coll., 2000), asseriscono l’efficacia, sino a fine trattamento, di tutte le soluzioni visco-elastiche a base di ialuronato di sodio, molti altri studi mostrano come la durata e la natura dei vari tipi di trattamento, non siano identiche. Sembrerebbe infatti che l’efficacia maggiore sia ottenibile grazie all’utilizzo di prodotti ad alto peso molecolare, rispetto a quelli di più basso peso molecolare (Roman e coll., 2000; Lussier, e coll., 1996; Raynaud e coll., 2002; Wobig e coll., 1999). Lo ialuronato di sodio ad alto peso molecolare, sembrerebbe in effetti richiedere un numero minore di infiltrazioni rispetto a quello a basso peso molecolare, inoltre con l’utilizzo di quest’ultimo non è nemmeno lecito aumentare la quantità di ialuronato per ogni infiltrazione, con la speranza di poter ridurre, in tal modo, il numero delle stesse ed ottenere, comunque, un risultato soddisfacente (Bragantini e coll., 1982). La maggior efficacia dello ialuronato di sodio ad alto peso molecolare, sia in termini di durata, che di qualità dei benefici, sembrerebbe poter essere messa in relazione al fatto che la sua maggior viscosità gli permette un tempo di stazionamento maggiore all’interno dell’articolazione (Lussier e coll., 1996). Inoltre gli HA ad alto peso molecolare, oltre che un effetto viscosupplementativo/viscoinduttivo, mostrerebbero, a livello articolare, un effetto meccanico di tipo “ammortizzante” che espleterebbe un interessante effetto protettivo sulle strutture articolari stesse (Reichenbach e coll., 2007). Un interessante studio condotto sulla viscosupplementazione ad alto peso molecolare (Duboureau e coll., 2006) ha dimostrato come il miglioramento algo-funzionale dei pazienti trattati con questa metodica, sia stato accompagnato da una contestuale diminuzione dei trattamenti farmacologici associati, riferendosi specificatamente a 5 classi terapeutiche:
- Farmaci antalgici come paracetamolo e similar
- FANS
- Anti Cox-2
- Corticoidi
- Condroprotettori
I pazienti che facevano uso abituale di tali farmaci, sono passati dal 73%, in fase pre-trattamento viscosupplementativo, al 27%, in un periodo di 12 mesi. Inoltre, nell’ambito del 27% dei pazienti, che comunque facevano ancora uso di farmaci, si è registrato un radicale cambiamento nella tipologia delle assunzioni, con una netta diminuzione del consumo di corticoidi e Anti Cox-2 a profitto del paracetamolo e similari, farmaci quindi meno costosi e con meno controindicazioni oltre che, nel 2004, raccomandati dall’EULAR. Sempre nell’ambito dello stesso studio non sono stati segnalati casi di artrite settica o reazioni infiammatorie acute post-infiltrative.
Figura 1 : numero dei pazienti e diverse tipologie di assunzioni farmacologiche, prima e dopo 12 mesi dal trattamento di viscosupplementazione. Lo studio dell’andamento dei trattamenti farmacologici associati alla sintomatologia dolorosa dopo viscosupplementazione, costituisce un buon indicatore dell’efficacia del trattamento stesso.
Ad oggi numerosi studi testimonierebbero l’interesse pratico della viscosupplementazione ad alto peso molecolare anche per quello che riguarda l’anca artrosica (Brocq e coll., 2002; Conrozier e coll., 2003; Vad e coll., 2003; Berg e Olsson, 2004; Migliore e coll., 2005; (Van den Bekerom e coll., 2007; Dagenais, 2007). Anche in questo caso l’infiltrazione sarebbe ben tollerata dal paziente e permetterebbe una netta diminuzione della sintomatologia dolorosa, associata ad una miglior mobilità articolare. Ulteriori conferme di questi risultati permetterebbero, anche nell’ambito coxartrosi, di sopprimere i trattamenti antinfiammatori, fonte di numerosi effetti secondari, e ritardare comunque l’impianto di una protesi.
La viscosupplementazione con i polinucleotidi
L’utilizzo di lunghe catene di polinucleotidi (PN), ottenute attraverso la frammentazione controllata del DNA, rappresenta una procedura già nota sino dalla fine degli anni ’90 (Muratore e coll., 1997). I primi studi sull’impiego di PN ottenuti da placenta umana erano basati sull’ipotesi di poter indurre un viraggio metabolico in una cultura di fibroblasti cutanei (Muratore e coll., 1997). Dopo questi primi positivi risultati, seguirono altri studi sperimentali basati sulla promozione, mediante somministrazione di PN, di osteoblasti umani in coltura, al fine di poter utilizzare questo tipo di tecnica nell’ambito della riparazione del tessuto osseo (Guizzardi e coll., 2003). I risultati ottenuti da questo studio furono molto incoraggianti, gli Autori ottennero infatti, su un periodo di 6 giorni, un incremento di crescita degli osteoblasti maggior del 21% rispetto a quello registrato sullo stesso terreno non addizionato. Gli Autori formularono l’ipotesi che l’incremento della crescita osteoblastica, in seguito ad addizione di PN, fosse mediata dalla stimolazione del recettore A2 per le purine presente sugli osteoblasti stessi, senza per’altro però escludere altri meccanismi di azione. Dal momento che si è potuto dimostrare l’esistenza di un controllo piuttosto ubiquitario dei recettori purinici, che sono stati ritrovati anche sulle cellule della muscolatura liscia (Guizzardi e coll., 2003), la ricerca in questo campo si è rivolta all’utilizzo dei PN nell’ambito della viscosupplementazione. Infatti, le lunghe catene polimeriche di DNA animale- previo acconci processi di separazione, frammentazione, sterilizzazione e polimerizzazione- acquisiscono una forte connotazione idrofora, divenendo in tal modo capaci di formare, in modo analogo a quanto riscontrabile con l’acido ialuronico, una densa e viscosa pellicola di gel tridimensionale a protezione delle superfici articolari (Vanelli e coll., 2010). Oltre a ciò, i PN mostrerebbero anche un azione metabolica di tipo ritardato. Infatti, la degradazione locale delle catene polinucleotidiche libererebbe nell’ambiente articolare cospicue quantità di basi azotate pirimidiniche e puriniche, residui glicidici (ribosio) e fosfati, che rappresenterebbero un utile substrato che favorirebbe la sintesi di matrice extracellulare da parte dei condrociti (Vanelli e coll., 2010). Per cui la viscosupplementazione con PN attiverebbe due diversi meccanismi tra loro contestualmente sequenziali e conseguenziali: in un primo tempo svolgerebbe un azione meccanica espletata grazie alla formazione di un gel viscoso tridimensionale a protezione delle superfici articolari, mentre nella fase tardiva i residui provenienti dalla sua lisi enzimatica locale stimolerebbero il metabolismo cartilagineo (Vanelli e coll., 2010). Questa sua particolarità, a nostro avviso, ne rende il suo utilizzo particolarmente interessante soprattutto in soggetti giovani, come gli atleti, in cui la vitalità condrocitaria sia ancora apprezzabile
Conclusioni
La terapia di viscosupplementazione con HA ad alto peso molecolare sembra trovare un sempre maggiore, e giustificato, consenso nella terapia conservativa dell’OS. E’ interessante anche ricordare che la medesima tecnica supplementativa, sia stata recentemente proposta anche per ciò che riguarda il trattamento conservativo della coxartrosi e come i primi studi scientifici, seppur con un follow-up limitato, siano, in tal senso, piuttosto incoraggianti. Particolarmente interessante ci sembra inoltre, soprattutto per una popolazione selezionata, la viscosupplementazione con PN.
Tuttavia, occorre sottolineare come i maggiori benefici, sia nella viscosupplementazione con Ha che con PN, siano registrabili in processi osteoartrosici non eccessivamente avanzati, oltre al fatto che la terapia viscosupplementativa, nel caso di gonartrosi, debba necessariamente essere complimentata da un programma di rinforzo selettivo a carico della muscolatura della gamba e della coscia rivolta all’aumento della stabilità articolare del ginocchio.
Figura 2: Radiografia in proiezione antero-posteriore suggestiva per gonartrosi. La proiezione radiografica mostra riduzione dello spazio articolare a livello del compartimento mediale (frecce nere) associata ad osteofitosi (frecce bianche). (Thomas e coll., 2006)
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a cura di: Bisciotti Gian Nicola Ph.D.