Epicondilite

Il gomito del tennista

Gomito del tennista, epicondilite laterale, tennis elbow, chi non ha mai sentito, se non addirittura, suo malgrado, capito in prima persona il significato di questi termini? Il fatto curioso è che il termine di “gomito del tennista” è universalmente utilizzato per definire una sintomatologia dolorosa localizzata nella parte laterale del gomito, indipendentemente dal fatto che chi ne soffra abbia o non abbia mai giocato a tennis in vita sua! Questa spiacevole patologia, non è infatti solamente appannaggio degli appassionati della racchetta, ma colpisce indiscriminatamente coloro che lavorano manualmente in modo intenso e ripetitivo, oppure musicisti, od ancora i stacanovisti del computer, tanto che un recente studio medico scientifico ha potuto appurare che proprio gli appartenenti a queste categorie lavorative costituiscono il bersaglio privilegiato della patologia, superando in classifica, e di gran lunga, i tennisti veri.

Che cosa è in effetti?

Anche se conosciuta ai più, vale comunque la pena d’inquadrare in poche righe la patologia. L’epicondilite laterale o gomito del tennista è un processo degenerativo a cui vanno incontro alcuni gruppi muscolari ed i loro relativi tendini, situati nell’avambraccio, dovuto ad un affaticamento da sovraccarico, che può essere costituito dal tennis, come anche da uno smodato uso della tastiera del computer oppure dall’utilizzo di uno strumento musicale e così via….. Qualunque ne sia la causa, il risultato è comunque sempre lo stesso: un intenso dolore sopra l’epicondilo laterale del gomito quando la mano è flessa dorsalmente contro resistenza come mostrato nella foto 1.

 

Foto 1: La sintomatologia dolorosa causata dal gomito del tennista si manifesta quando si flette dorsalmente la mano contro una resistenza esterna, oppure quando, sempre contro resistenza, si cerca di estendere il dito medio.

Come si cura tradizionalmente?

Nella fase acuta vengono normalmente prescritti degli antinfiammatori, l’applicazione di ghiaccio ed ultrasuoni. Nei casi in cui il dolore persista si può anche arrivare all’iniezione locale di corticosteroidi. Inoltre, viene di prassi prescritto un periodo di riposo dall’attività tennistica. Purtroppo, occorre dire che l’inattività si rivela, in ultima analisi, una vera e propria arma a doppio taglio, infatti la mancanza di movimento tende ad atrofizzare ed irrigidire la muscolatura che è coinvolta nella patologia e quindi ad aggravare quest’ultima. Per ciò che riguarda invece le terapie basate sui farmaci antinfiammatori o sulle infiltrazioni di cortisonici, non risolvono realmente il problema ma si limitano solamente a mascherare il dolore percepito dal paziente.

L’approccio di Travell e Simons

David Simons e Jant Travell sono due nomi arcinoti nell’ambito della medicina riabilitativa, soprattutto per le loro idee innovative ed originali sulle cause del dolore muscolare, ivi compreso il “gomito del tennista”. Secondo i due studiosi, in un muscolo sottoposto ad un forte sovraccarico funzionale, come nel caso di un allenamento intenso, si possono creare dei focolai d’iperirritabilità nel muscolo stesso, oppure nella fascia che lo riveste Questi focolai d’iperirritabilità sono costituiti da piccoli gruppi di fibre muscolari (definite con il termine di bandelette) che rimangono contratte. All’interno di queste bandelette contratte si sviluppano dei punti particolarmente sensibili, definiti punti trigger. Il termine trigger in inglese significa grilletto, proprio perché i punti trigger “sparano”, o meglio proiettano, il dolore ad una certa distanza, ad esempio una bandeletta contratta che contenga un punto trigger attivo a livello del muscolo piccolo gluteo, può simulare un dolore del tutto simile alla sciatalgia. Questo tipo di dolore viene definito con il termine di miofasciale(da mio che sta per muscolo e fasciale che sta per fascia muscolare). La procedura di cura da mettere in atto si articola in due fasi: la prima fase del trattamento prevede la digitopressione (ossia una pressione esercitata con le dita) direttamente sul punto trigger attivo, alternata al rilasciamento. Durante la fase di pressione la circolazione all’interno della bandeletta contratta viene di fatto fortemente limitata, nella successiva fase di rilasciamento, al contrario, si verifica un aumento della circolazione all’interno della bandeletta stessa, questo provoca un rilassamento delle fibre contratte che costituiscono la bandeletta.

La seconda fase, prevede l’effettuazione di particolari esercizi di allungamento della muscolatura dolente dopo averla però raffreddata con delle applicazioni locali di ghiaccio. Questa procedura viene utilizzata in virtù delle proprietà analgesiche del freddo, il muscolo raffreddato con il ghiaccio risulta essere praticamente blandamente anelgesizzato, e questo permette un suo allungamento molto maggiore rispetto ad una condizione normale. L’alternanza di pressione e rilasciamento, unita allo stretching del muscolo raffreddato (questa tecnica è denominata appunto stretch e spray) permette, nella maggioranza dei casi, d’inattivare totalmente un punto trigger attivo e di annullare la sintomatologia dolorosa con grande sollievo dell’atleta.

Il “Deep Stroking Massage” ed il gomito del tennista.

Il trattamento sopra descritto, prevede ovviamente l’intervento di un terapista, cosa non sempre possibile ed agevole in pratica. Nel caso dell’epicondilite laterale del tennista, un altro esperto del settore, Carl Davis, in un interessantissimo lavoro pubblicato nel 2003 su di un autorevole rivista medico-scientifica, propone, inspirandosi alle ricerche di Travell e Simmons, un “auto-trattamento”, denominato “Deep Stroking Massage”, basato su di un massaggio pressorio effettuato con una pallina da tennis, direttamente del paziente, sui punti trigger responsabili della sintomatologia dolorosa.

I punti trigger: impariamo ad identificarli.

I punti trigger (PT), si sviluppano in zone anatomiche ben precise e tipiche per ogni gruppo muscolare, ed altrettanto tipiche sono le zone di proiezione del dolore da loro causato. Esiste quindi una sorta di “mappa” della dislocazione sia dei PT, che del loro dolore proiettato, specifica per ogni muscolo. Nelle immagini che sono di seguito riportate potrete osservare, e quindi imparare a riconoscere su voi stessi i PT dei vari muscoli responsabili del dolore causato dal gomito del tennista e le loro zone di proiezione.

 

Figura 1: il muscolo estensore radiale lungo del carpo, il cui PT è evidenziato dal punto nero (riquadro A), proietta il dolore sia immediatamente al di sopra della sua dislocazione, che sulla dorso della mano vicino al pollice (zona tratteggiata nel riquadro B)

Figura 2: il PT del muscolo brachioradiale (riquadro A), proietta il dolore sulla parte interna dell’avambraccio ed in prossimità del pollice (zona tratteggiata nel riquadro B).

 

 Figura 3: il PT del muscolo supinatore (riquadro A), provoca dolore sulla parte interna del gomito e nelle vicinanze del pollice (zona tratteggiata nel riquadro B).

 Figura 4: il PT del muscolo estensore radiale breve del carpo (rappresentato dal punto nero sul riquadro A), proietta il dolore a livello del dorso della mano (zona tratteggiata nel riquadro B).

Figura 5: Il PT del muscolo estensore ulnare del carpo (riquadro A), proietta il dolore sulla faccia esterna della mano in prossimità della base del mignolo (zona tratteggiata nel riquadro B).

Figura 6: Il muscolo estensore delle dita può sviluppare due distinti PT, rappresentati dai due punti neri nel riquadro A della figura. Il dolore viene proiettato a livello del dito medio e dell’anulare (zona tratteggiata nel riquadro B).

Figura 7: i due PT del muscolo tricipite (riquadro A), provocano dolore riflesso sulla parte mediale e laterale del braccio (riquadro B)

Come effettuare il “Deep Stroking Massage”

Una volta imparato a riconoscere ed identificare le zone nelle quali si possono sviluppare i PT, occorre apprendere la corretta esecuzione del “Deep Stroking Massage”. La tecnica è decisamente facile: prendete una normalissima pallina da tennis ponetela sui PT, basandovi sia sule figure precedenti, che su quelle che seguono, ed appoggiatevi ad una parete. A questo punto effettuate una pressione crescente sul PT, che però nel contempo vi permetta di far scorrere lentamente sul PT, ed in tutte le direzioni, la pallina. Il movimento deve essere effettuato dalle 6 alle 12 volte ed ogni scorrimento deve durare all’incirca 2 secondi, per un totale di 15-20 secondi per ogni PT. Attenzione però a non effettuare un massaggio troppo vigoroso, esercitare una pressione eccessiva: potrebbe infatti essere controproducente. La sensazione che dovreste avere è quella di una pressione che evochi un dolore lieve, sopportabile e soprattutto che tende a scomparire col prosieguo della pressione stessa. I PT rispondono in genere molto bene a questo tipo di procedura terapeutica e molti sintomi possono essere risolti nel giro di un periodo compreso tra i 3 ed i 10 giorni, durante i quali il Il “Deep Stroking Massage” viene effettuato quotidianamente, anche se i casi cronicizzati possono richiedere un periodo di trattamento molto più lungo, che può arrivare sino alle 6 settimane.

Figura 8: Deep Stroking Massage dei muscoli estensore radiale lungo del carpo, supinatore e brachioradiale.

 

Figura 9: Deep Stroking Massage Deep Stroking Massage dell’estensore radiale breve del carpo.

Figura 10: Deep Stroking Massage del muscolo estensore delle dita.

 Figura 11: Deep Stroking Massage del muscolo estensore ulnare del carpo.

 Figura 12: Deep Stroking Massage del muscolo tricipite. In questo caso occorre posizionarsi con il gomito sul ripiano di un tavolo ed interporre tra il gomito e la pallina da tennis, le nocche della mano di cui ci si servirà per effettuare la pressione diretta sul PT.

a cura di: Bisciotti Gian Nicola Ph.D.